Ultimo appuntamento con l’Egitto dei Faraoni giovedì 7 dicembre alle ore 21.30. Ci addentreremo nel misterioso linguaggio adoperato da questi uomini antichi e sapienti.
Medu Neter, le parole di Dio, Bau Ra, le forze di Ra, il linguaggio che la divinità usava per rivelare agli uomini un tesoro di inestimabile valore, questo erano le migliaia di segni grafici che furono riprodotti sulla pietra con una tale precisione e armonia che lascia stupefatti. Così come ci sorprende il fatto che dall’analisi dei numerosi testi a noi pervenuti risulti che questa scrittura si sia mantenuta integra per migliaia di anni. Questo significa che, a differenza di altre lingue, l’egiziano geroglifico era perfetto sin dall’inizio e tale si è mantenuto nei millenni.
La logica e la complessità dell’alfabeto geroglifico, già presente nella I Dinastia, rivela chiaramente un’intelligenza, metodo, inventiva ed una estetica che non trova uguali negli alfabeti antichi e tanto meno in quelli moderni.
Tutto ciò mette in luce come le nostre conoscenze del lessico e della cultura egiziana nel suo insieme sono tuttora parziali ed è con questa premessa che tutti i maggiori esperti di questa antica lingua dicono si dovrebbe affrontare lo studio dell’egiziano antico.
Risulta infatti evidente che popolazioni appena uscite dall’ultima età della pietra non potevano né ideare né possedere un linguaggio così raffinato e artistico, gerarchicamente disposto con delle regole grammaticali piuttosto complesse.
Non era quindi la lingua delle popolazioni primitive della valle del Nilo ma era una segreta scienza, prerogativa di una gerarchia di sacerdoti, eredi e custodi di una tradizione sapienziale più antica che si faceva risalire al dio Thoth.
Infatti gli Egiziani attribuivano l’invenzione della scrittura geroglifica a Thoth, il dio con la testa di ibis, che portava così agli uomini la tradizione primordiale; per questa ragione venne chiamato il “Signore della Scrittura”. Thoth simbolizza più che un personaggio l’esistenza di un centro tradizionale iniziatico nel quale i sacerdoti custodivano la sapienza tradizionale.
I geroglifici sono i Segni di Thot o le Parole divine di Thot. Per questo gran dono fatto ai sapienti d’Egitto venne considerato un grande benefattore e venerato come il Nume dei sapienti.
Questi segni incisi nella pietra definivano la lingua della permanenza perché mentre le lingue con il tempo si degradano, cambiano forma, questa aveva il carattere dell’eternità, erano le parole di Dio, la lingua del tempio e alla costruzione del tempio era preposta la dea Seshat “Colei che scrive”, personificazione della scrittura e della sapienza stessa.
E proprio nel tempio si apprendeva la scrittura geroglifica. La conoscenza di questi segni era riservata a pochi, la casta degli scribi era una delle più elevate, erano coloro che potevano accedere alla “casa della verità” per apprendere non tanto a scrivere ma soprattutto cosa si doveva scrivere con questi segni misteriosi.
“I geroglifici sono simboli grafici e fonetici che rispecchiano idee, essi assumono dei significati analogici che si riferiscono in primo luogo alla Divinità e in secondo luogo all’ordine alle cose umane”.
Questa definizione di Alessandro Benassai è una perfetta norma di come si devono leggere i geroglifici egizi, una regola non scritta, non grammaticale ma che fornisce una precisa indicazione che può risolvere molti dei problemi che si trovano nell’affrontare lo studio di questi segni.
E poiché ogni segno non solo è un suono ma esprime anche un concetto, diventa un simbolo per esprimere questa tradizione arcaica, dovremo forzatamente in primis sapere di cosa tratti questa tradizione, una conoscenza che solo l’esoterismo permette; per dirla con Ermete perché queste mute parole incise nella pietra tornino a parlare necessita che la divinità torni in Egitto per rendere vivi questi segni, non più sterili ma rivelino nuovamente la strada che hanno celato fedelmente in questi millenni.
E noi oggi abbiamo la fortuna di avere a nostra disposizione nei testi della collana archeosofica dei veri e propri manuali di esoterismo il cui studio ci permette di apprendere questa dottrina e scienza e farci luce fra le allegorie di tutti i tempi e anche quindi fra i rovi della selva dei geroglifici.
Si è detto che questi segni esprimono allo stesso tempo un concetto e un suono e qui sorge un altro problema perché niente si sa della pronuncia di questo arcaico alfabeto. Fra gli egittologi si dice che se una mummia tornasse in vita non sapremmo comunicare con lei parlandoci con il suono che questi segni racchiudono ma lo potremmo fare scrivendo.
Sembrerebbe un problema solo di traduzione e lettura di una lingua antica ma il problema sussisteva anche ai tempi in cui venivano usati questi segni.
In questa antica scrittura non esistono i segni vocalici e senza una notazione vocalica se non si trattava di parole ben note, la cui pronuncia era per consuetudine abbinata alla serie di segni, la vocalizzazione restava un mistero.
Questo e tante altre difficoltà si incontrano nel cimentarsi con questi segni come la direzione della scrittura e altre regole per determinare il concetto, il genere e il numero, regole che vengono in molti casi ignorate dagli scribi soprattutto quando questi segni vanno ad indicare soggetti riguardanti la divinità e il faraone.
Questo mette in evidenza come tutto mirava a una custodia severa della pronuncia di questi segni quando questi esprimevano il nome della divinità o del faraone.
Il “nome” che sintetizza l’atto creativo, veniva considerato l’essenza di ciò che rappresenta. Per un uomo significava l’anima, era quindi necessario proteggerlo dalle forze demoniache durante la vita terrena ed extraterrena, per vivere in eterno.
Comprendere il nome significava appropriarsi e conoscere per identità l’anima dell’oggetto o dell’essere che indicava, sia di natura umana che divina, per questa ragione la vera pronuncia dei nomi divini e dei nomi dei sovrani era tenuta segreta dai sacerdoti. Questa segretezza e protezione era simbolizzata da una cornice ovale chiamata snw, dal verbo sni circondare che appunto difendeva il nome scritto.
Con queste chiavi nell’ultimo incontro cercheremo così di affrontare questa antica scrittura partendo dall’analisi del nome del primo faraone dell’antico Egitto, Menes e vedremo come oltre a indicare un personaggio storico questo nome designi un principio di ordine spirituale, un centro di Sapienza Arcaica di origine umano-divina che diede inizio allo splendore dell’Antico Egitto.