Ancora un appuntamento con Caterina Savasta, venerdì 27 aprile alle 21.30 presso la sede pistoiese in Piazza dello Spirito Santo,1. Ecco cosa ci anticipa la prof. su quello che argomenterà venerdì sera.
Devo immedesimarmi totalmente o devo in qualche modo tenere le distanze concentrandomi sulla voce impostata, sul gesto e sui movimenti in scena? È uno dei dubbi che attanaglia l’attore che si pone di fronte al suo personaggio.
Mi piace, mi somiglia, mi viene naturale, dicono alcuni.
Mamma mia! Io proprio non lo capisco, dopo sei mesi di lavoro ancora non mi viene! Dicono altri.
Attori e personaggi: che storia! Un rapporto strano e intenso, fatto di un regista che ti fa una proposta, di un copione, ormai sulla mail, da stampare, le indicazioni che ti dice o ti scrive, che non sai mai se leggere prima o dopo il copione. Un legame che si crea a poco a poco, fatto della prima lettura, di attenzione, di studio che nel tempo si arricchisce con le espressioni del viso, i movimenti del corpo, le ore a provare di fronte allo specchio.
Tutto questo per dire come nasce un personaggio e cosa deve fare un attore…
Ci sono tanti modi di fare teatro, come pure tanti sono gli scopi che chi fa teatro intende raggiungere. Le tecniche e gli stili di insegnamento della recitazione sono numerosi. Alcuni sono stati ideati dagli stessi attori, altri dagli scrittori di teatro o dai registi che poi li hanno insegnati agli attori.
Uno dei più noti è il metodo Stanislavskij, attore, regista e scrittore di teatro, che ha provato a proporre delle linee guida per gli attori, comunicando cosa deve sapere fare il vero e bravo attore. Secondo le sue indicazioni l’attore deve innanzitutto conoscere tutto del suo personaggio, sul luogo e sul tempo in cui ha vissuto. Poi deve ricordare, attingendo alla sua personale memoria, le sue emozioni, quelle che ha veramente vissuto, per rappresentare al meglio quelle del suo personaggio, rivivendole sulla scena.
Quindi questo metodo si basa sulla ricerca delle affinità, delle somiglianze interiori tra personaggio e attore. Per una perfetta immedesimazione inoltre il metodo richiede che l’attore resti nel personaggio anche fuori dal set, continuando a vestirne i panni.
Da questo metodo, nel 1947, a New York, sulla 44° strada, nacque l’Actors Studio, un laboratorio per formare gli attori e Elia Kazan, Cheryl Crawford, Robert Lewis, Marlon Brando, James Dean, Marilyn Monroe, Paul Newman, Al Pacino, Shirley MacLaine, Robert De Niro, Susan Sarandon, Meryl Streep, Steve McQueen, Nastassja Kinski e molti altri hanno studiato qui. Anche Nicole Kidman utilizza questa tecnica.
Il problema che può derivare da questo metodo è che a furia di immedesimarsi totalmente in un personaggio per mesi, per anni, e in diversi personaggi per lunghi anni, l’attore rischia di perdere la propria identità e di soffrire di questo; l’esperienza dice che alcuni attori sono finiti a psicofarmaci o si sono suicidati, proprio perché avevano perso la loro identità. Un altro possibile pericolo poi è quello che attingere al proprio vissuto faccia emergere dei ricordi dolorosi che non sappiamo gestire.
Diversamente da Stanislavskij, Bertold Brecht punta sulla capacità di straniamento dell’attore.
Il famoso drammaturgo tedesco parte dal presupposto che non è possibile immedesimarsi in un altro, quindi il suo metodo si fonda su un tipo di recitazione esagerata, dove il tono della voce, la gestualità e l’espressività degli attori esprimono l’impossibilità di immedesimazione. Il rischio però è che la recitazione risulti fredda, finta e non trasmetta niente, non dia nulla. E forse l’effetto catarsi fallisce, perché lo spettatore, non viene avvolto dall’energia dell’attore, non sente i suoi sentimenti e quindi non vive le sue passioni.
C’è chi fa teatro per risolvere dei problemi, chi punta sull’immaginazione, sulla creatività dell’attore, chi sull’azione, sul divertimento, chi guarda al pubblico, chi allo stare insieme e al messaggio che si può comunicare.
Vi aspettiamo venerdì 27 aprile, ingresso libero e gratuito.