L’esperienza dice che il teatro genera emozioni: paure, tensioni, eccitazione, entusiasmo. Sia gli attori, che gli scrittori e i registi, senza dimenticare il pubblico che è fondamentale, tutti sono coinvolti, uniti, insieme, per lunghi periodi o anche soltanto per due ore.
Cos’è il teatro? Oggi è prima di tutto un luogo, un edificio, in antico era una struttura in legno o in pietra senza tetto e all’aperto con vista sul mare magari al tramonto del sole.
Luogo affascinante con le quinte -che si chiamano così perché hanno la forma di una V latina-, i camerini, il palcoscenico, il sipario, le corde, le luci, l’attrezzeria, le scenografie, i costumi, i trucchi. E poi le persone del teatro, il drammaturgo, l’invisibile e misterioso scrittore del copione, il regista che deve dare vita a qualcosa di nuovo trasformando le parole in uno spettacolo teatrale appunto, gli attori, i personaggi, gli spettatori, i tecnici, i truccatori, i costumisti, il pubblico, le maschere: un inimmaginabile brulichio umano che cresce via via che il suono della campanella si avvicina.
Il teatro vive di parole, di gesti, di movimenti, di voci, di suoni, di danza, di pittura, scultura e di tutte le arti.
Poi c’è il testo, che qualcuno ha ideato chissà dove, magari di notte o nel corso di una cena tra amici. Testo prodotto spesso in solitudine dallo scrittore che guarda in se stesso, alla storia o alla fantasia, che elabora dei tipi umani e si sente abbastanza libero fino a quando i personaggi cominciano a prendere forma e alzano la cresta per cui non è più lui che domina tutto, ma loro che cominciano a vivere…
Lo scrittore di teatro esce dalla sua solitudine e va verso il mondo, specialmente quando diviene, per diletto o per necessità, egli stesso attore.
Sì, grandi gioie può riservare all’uomo e alla donna il teatro. Il suo potere è immenso, le possibilità di espressione infinite.
Poi c’è l’aspetto dell’essere insieme, chi fa teatro crea una compagnia, si chiamano compagnie teatrali, non solitudini teatrali. Un tempo andavano in giro con i carri, vi innalzavano un palco e si dipingevano il viso attirando l’attenzione di tutti. Oggi si va in macchina, si fanno le macchinate, un’infinita sequenza di messaggi su WhatsApp, tanto sonno la domenica mattina, ma bene o male da tutta Italia ci siamo.
Fare teatro è compiere un’azione in scena, agire; in molte lingue recitare si dice giocare, in italiano vuol dire citare due volte, ossia ripetere gesti e parole, anche se non due, ma mille volte, almeno.
Fin dall’antichità c’è chi pensa che un testo nasce dall’uomo e dalle sue facoltà e chi invece che sia ispirato da una Musa, che venga in qualche modo suggerito al poeta da qualcuno che gli sussurra all’orecchio, presenza invisibile.
Come sia nato il teatro è difficile dirlo, molti hanno pensato che un’antica forma di teatro era il canto del capro, ossia dei capri, cioè dei sacerdoti che indossavano maschere di capretti, durante alcune cerimonie.
In origine quindi il teatro era legato alla sfera del sacro, ai Misteri antichi e si indossavano delle maschere che raffiguravano animali o divinità perché si voleva assimilare la natura del soggetto rappresentato sia nelle maschere stesse che nell’ azione rappresentata.
Tempio e teatro sono stati da sempre collegati, basti pensare che in antico al centro del teatro si ergeva un altare e che essi venivano costruiti l’uno vicino all’altro, poi anche lo studio dell’etimologia conferma un’origine comune legata alla necessità di preparare uno spazio sacro per potere vedere…
Oggi i nostri spettacoli non durano a lungo, ma in passato alcune rappresentazioni venivano fatte in 25 giorni, in Grecia in un giorno.
Oggi si mette in esce a volte un tempo interiore, pieno di attese e silenzi, di filmati che cambiano il tempo e anche lo spazio del teatro.
Vi sono anche vari generi teatrali: la tragedia, la commedia, il musical con recitazione, danza e canto, la commedia dell’arte, il teatro dell’assurdo, il mimo, l’opera lirica e molti altri.
Molto interessanti sono anche le maschere che coprono solo gli occhi, il viso o tutta la testa, realizzate in materiali diversi, in legno, oro, tela alle gomme poliuretaniche, in vetroresina. Anche la maschera è stata usata e studiata a lungo e sono state fatte diverse ipotesi per spiegarne sia la funzione che l’origine. Rappresentano la divinità? O amplificano la voce?
Luigi Pirandello diceva che ciascuno di noi indossa molte maschere nella sua vita e grazie ad esse possiamo vivere tranquilli. Indossiamo la maschera del marito e della moglie, della madre e del padre, del figlio e della figlia, dell’impiegato, dell’eterno giovane, del rivoluzionario. Con ogni maschera, con ogni ruolo sociale ci sono delle parole da usare, dei pensieri, delle cose da dire e da non dire, gesti opportuni e inadeguati al contesto.
Queste maschere possono essere vissute come una prigione che incarcera la vera vita, viviamo nelle forme sociali e invece in noi vorremmo essere liberi di sentire, di pensare, di dire…
Quando poi uno non ne può più e sbotta dice la verità ed ecco che allora gli altri lo considerano pazzo e lo escludono dal loro gioco delle parti, dal vivere sociale, civile, normale: è come se fosse morto per loro, non lo cercano più, non lo trattano più.
Ma cosa c’è sotto le maschere? Anzi, chi c’è? Centomila persone, ma anche uno, il nostro io che cambia continuamente, che segue il flusso della vita come l’acqua di un fiume non si ferma mai. Noi siamo maschere nude, siamo anche verità, perché sappiamo chi siamo e cosa vogliamo, ma spesso ci dobbiamo rinunciare, perché viviamo in società. Secondo Pirandello siamo anche nessuno e c’è il rischio che tolte tutte le maschere sotto non rimanga niente, finite le parti da recitare ogni giorno non sappiamo più chi siamo.
Un’antica Tradizione sapienziale che è stata trasmessa e presente in tutte le più grandi civiltà dall’Oriente all’Occidente, dal passato fino ad oggi, dice che l’uomo e la donna sono un Ego, un Io, qualcosa di simile ad una collana di perle o alle tante facce di un diamante.
Nella vita di ciascuno di noi si vede solo una perla, solo una faccia del diamante e non tutto l’insieme, si vede il piano, non il solido. Ciò che si vede di noi, il nostro lavoro, il nostro ruolo nella famiglia, i nostri pensieri sono solo una personalità, un aspetto, un po’ di noi, una parte di noi, sono come una maschera che nasconde il nostro vero volto. Qualcosa di eterno, vivo e vero, di completo che siamo noi.
Venerdì 4 Maggio alle 21:30 presso la sede dell’Associazione Archeosofica, in piazza dello Spirito Santo 1 a Pistoia, diremo molte cose sul teatro, sul testo, l’autore, il regista, gli attori, il pubblico, le maschere…